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Vuoto a perdere

 

 

Odio andare in auto, anche se spesso ci sono costretto.
Lungo le strade, che percorro a una media di trenta chilometri orari quando va bene, ho modo di osservare il panorama. Sfilze di case recinzioni fabbriche. Uno dei pochi spazi liberi è stato colonizzato da una rotonda abnorme, fagiolo probabilmente di origine transgenica, e da una sfilata di capannoni disabitati – ovviamente, visto che lì intorno ce n’erano altrettanti col cartello affittasi o vendesi.
La mania occidentale di riempire tutto. L’unico vuoto che viene preservato è quello che si può vendere, quello delle confezioni esagerate con metà contenuto.

Pieni gli spazi, piene le giornate. Dobbiamo lavorare tanto per riuscire a non lavorare più. Ma, se lavori tanto, non ce la fai a goderti i frutti del lavoro. Ti manca il tempo per non lavorare, quando tutto il tempo lo dedichi al lavoro (Workaholic è una dipendenza esattamente come quella dalle droghe o dall’eccesso di vino, dal sesso o dai diamanti. Anestesia al cervello per overdose di stimoli).

Sono avanzato di due chilometri sulla provinciale. Guardo ancora fuori dal finestrino. Dobbiamo saturare il territorio di capannoni per liberare risorse con cui migliorare le condizioni locali di vita e promuovere il turismo locale, obiettivi entrambi inficiati dal proliferare dei capannoni. Non esco dal loop. Fortuna che il semaforo è diventato verde.