Una luminosa giornata
Domenica mattina. Una di quelle giornate irripetibili di febbraio in cui cogli nell’aria il profumo esitante della primavera. La temperatura non è ancora ideale ma c’è una sorta di clima festoso che compensa la frescura. Sarà perché è l’unico momento in cui ti puoi riposare, sarà che oggi ti ispira qualcosa di diverso rispetto al pur piacevole programma casalingo di stravaccamento sul divano e film a manetta, fatto sta che… guardi negli occhi la tua compagna e proferisci la frase più romantica degli ultimi due anni: «Che ne dici di andare a Venezia?». Giusto, aderisce lei, ce l’abbiamo qui vicina e la snobbiamo, mentre dal Giappone e dall’America vengono apposta in Italia per vederla, per toccarla.
La parola Venezia evoca atmosfera vacanziera anche se ci abiti a un’ora di distanza. Il mito ha preso il sopravvento sulla città. A me fa venire in mente le calli di notte, l’odore del salso, gli stuzzichini dei bacari, un calice di bollicine – prosecco leggermente mosso – visto in qualche fotografia ad effetto. Sensazioni vivide, plastiche.
Bene, si parte. Durante il viaggio sintonizzi la stazione radio che piace a lei. All’arrivo le apri lo sportello, la tieni sottobraccio mentre passeggiate amabilmente per i quartieri meno turistici. Mangiate un tramezzino in un tipico bar vicino a piazza San Marco – talmente tipico che a gestirlo sono due romene. Un pasto frugale perché c’è da setacciare tutta la zona dello shopping di marca e i negozi fanno l’orario continuato. La accompagni paziente e cerchi di non sconvolgerti quando chiede alla commessa una borsa zebrata («Si dice animalier!»). Dopo due ore di andirivieni nelle boutique hai ancora un sorriso quasi imperturbabile. Ti provi perfino un trench, di cui non ti potrebbe fregare di meno, per non farla sentire in colpa a causa di tutti i capi che lei sta prendendo per sé – la carta di credito è tua.
Finalmente, a dio piacendo, i negozi chiudono e si può andare a mangiare sul serio. Ti ricordi di un’osterietta dalle parti del mercato del pesce e ce la porti. Il localino è bellissimo, molto intimo, fin troppo – vi tocca condividerlo con una coppia di francesi stronzi. Il cibo è delizioso, un bicchiere di vino scalda – che dico scalda: incendia – i cuori. Torta casalinga e caffè sigillano una giornata memorabile. Sei stato talmente dolce che ti viene la tentazione di misurarti la glicemia.
Lei apprezza, ne sei certo. E infatti, appena mettete piede in casa, ti senti rivolgere questa frase: «Tutto perfetto… [pausa]… peccato che in macchina non abbiamo dialogato molto». Provi a fare mente locale sul viaggio di ritorno. Un’ora di strada, nel lettore finalmente un cd che piace a te, guida rilassata, torpore tenuto a bada in attesa di schiantarti a letto. Ti interroghi sulla tua manchevolezza. E apprendi un’ennesima lezione di vita: con tutto il tuo impegno, non potrai MAI fare felice una donna perché, per definizione, la donna è colei che alza l’asticella a ogni tuo balzo verso di lei. Non sarà soddisfatta neppure se le sacrifichi un rene, poiché in questo caso penserà che te ne rimane pur sempre uno di scorta.
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